Studi Real World ed Intelligenza Artificiale rivoluzionano oncologia ed oncoematologia. Ecco come la ricerca italiana può accelerare il passo
Giugno 2025
L’Intelligenza Artificiale (IA), oggi, è oggi uno strumento chiave nello sviluppo di nuove molecole, nella medicina personalizzata, nella sperimentazione clinica e nella farmacovigilanza. Pfizer sta integrando soluzioni avanzate di IA in ogni fase del ciclo del farmaco, dalla ricerca alla produzione, per accelerare i processi, migliorare la precisione e garantire un accesso più rapido alle terapie. In Italia, l’azienda è attivamente coinvolta anche nella digitalizzazione della gestione delle cronicità. L’obiettivo è chiaro: portare innovazione concreta al servizio dei pazienti, riducendo i tempi e migliorando gli outcome di salute.
Non servono “infiniti” dati per introdurre nella pratica clinica farmaci efficaci: l’Intelligenza Artificiale (AI) può aiutarci a valorizzare quelli già a nostra disposizione, a patto che siano di qualità. Le informazioni tratte da ambiti diversi degli studi sperimentali, come le Evidenze Real World (RWE) o le Patient Reported Experiences (PREs), vanno quindi rese omogenee ed attendibili, a integrazione dei dati dei trial clinici randomizzati. Servono anche vincoli di privacy meno rigidi e una formazione digitale dei professionisti sanitari.
È quanto emerge dal documento Nuovi modelli e strategie della ricerca oncologica, un testo elaborato da mondo scientifico e industria farmaceutica, realizzato da Edra per Pfizer, in cui si mettono a fuoco i bisogni della ricerca oncologica ed oncoematologica in Italia e le strategie per integrarla con innovatività.
Il progetto è stato presentato in un workshop online, che ha coinvolto diverse figure di spicco del mondo scientifico e sanitario: tra i protagonisti il professor Luca Pani, ordinario di Farmacologia all’Università di Modena Reggio e di Psichiatria a Miami; l’oncologo Carmine Pinto, Direttore dell’Oncologia Medica del Comprehensive Cancer Center dell’Ausl – IRCCS di Reggio Emilia; l’ematologo Marco Vignetti, Presidente di Fondazione GIMEMA; l’economista Claudio Jommi, professore dell’Università del Piemonte Orientale; la professoressa Roberta Siliquini, Presidente Società Italiana di Igiene; la dottoressa Eleonora Russo, Medical Director Oncology di Pfizer; e sempre per Pfizer la Senior Director Clinical Site Operation Federica Bitonti e la Country Medical Director Barbara Capaccetti.
Non quantità, ma qualità dei dati
L’uso dell’AI nelle strategie di ricerca clinica ha assunto un ruolo chiave a velocità imprevedibile, che sta già avendo i primi effetti: oggi ai “big data” si preferiscono dati rappresentativi per campioni di popolazione, più facili ed economici da procurare e da elaborare con l’AI.
Un processo nel quale si registrano ritardi a livello europeo, con innegabile fatica ad adeguarsi al quadro statunitense: difficoltà dimostrate, per esempio, dalla limitata attrattività economica delle posizioni previste per gli esperti del nuovo AI Office dell’Unione Europea. L’Italia a sua volta non riesce a stare al passo con l’UE, a partire da un’interpretazione anacronistica del regolamento sull’uso dei dati sanitari.
La valutazione dell’entità del rischio per la privacy dovrebbe essere calibrata a seconda del tipo di dato sanitario: rischi diversi richiedono una diversa modulazione della normativa, proporzionata all’impatto reale sulla privacy, che varia a seconda che si tratti di informazioni cliniche generali, come l’imaging, o di dati molecolari, in grado di rivelare dati genetici potenzialmente sensibili.
Il ruolo strategico delle Reti Oncologiche Regionali
In questo contesto, le Reti Oncologiche Regionali potrebbero assumere un ruolo strategico e di primo piano.
Le Reti possono essere organi di governance della ricerca, fornire infrastrutture e piattaforme, come ad esempio per la biologia molecolare, e contribuire alla valutazione dei farmaci - includendo anche le valutazioni dirette dei pazienti, come i Patient Reported Outcomes (PROs), le Patient Reported Outcome Measures (PROMs) e le Patient Reported Experience Measures (PREMs). Le Reti, inoltre, possono sostenere programmi di ricerca sui modelli organizzativi, come per i Percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) in oncologia.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di adottare Percorsi diagnostico-terapeutici uniformi e condivisi nella pratica clinica nazionale, che consentano anche di accedere ai dati ed analizzarli a intento di ricerca, con lo scopo migliorare ulteriormente l’aspettativa e la qualità di vita dei pazienti.
In questa prospettiva, sarebbe opportuno attivare programmi di ricerca regionali volti a valutare l’impatto reale dei PDTA, sia in termini di esiti assistenziali che di utilizzo delle risorse. Un approccio condiviso anche da esperti del settore, secondo cui – più che progettare nuove strutture organizzative – sarebbe prioritario formalizzare e integrare le strutture già attive. Finora, il sistema si è fondato soprattutto sul valore dei ricercatori e sulla capacità di impiegare con efficacia i fondi delle charities, anche per superare ostacoli normativi spesso complessi.
Studi clinici e dati Real World: una sinergia per valutare meglio i farmaci
Da qualche tempo, nella ricerca sta assumendo un ruolo sempre più centrale l’utilizzo dei dati Real World, raccolti “sul campo” dalla pratica clinica quotidiana dei pazienti.
A livello UE, i dati dell’Agenzia Ema 2018-19 ci dicono che il 40% delle autorizzazioni di nuovi farmaci e delle nuove indicazioni è accompagnata da dati di Real World: una disponibilità che potrebbe ridurre i margini di incertezza per le agenzie nazionali responsabili della definizione del valore terapeutico aggiunto rispetto alle alternative disponibili e, di conseguenza, dei criteri di rimborsabilità in uno scenario
competitivo.
In Italia, le linee guida 2020 per la compilazione del dossier a supporto della domanda
di rimborsabilità dei nuovi farmaci ammettono il ricorso alla RWE, da integrarsi con le evidenze prodotte dagli studi clinici. Negli Stati Uniti, intanto, i nuovi trial già sfruttano l’enorme quantità di dati osservazionali a disposizione mediante sistemi di AI in grado di costruire bracci di controllo esterni, a costi e tempi minimi.
Innovazione e finanziamento dei farmaci
Quanto è attrattivo il nostro Paese per la ricerca clinica? E, una volta che questa ha prodotto risultati concreti, come si possono conciliare l’accesso a farmaci ad alto valore aggiunto e le limitate risorse del sistema sanitario?
Non ci sono modelli ottimali per arrivare ad un punto di equilibrio, e le scelte dipendono dai diversi approcci ‘culturali’. Alcuni paesi hanno scelto i QALY (anni di vita corretti per la qualità) come misura del beneficio: per esempio, il Regno Unito considera il rapporto costo-efficacia e stabilisce valori soglia per determinare se l'aumento dei costi di un trattamento è giustificato dai benefici incrementali ottenuti.
Francia, Italia e Spagna, invece, hanno optato per un approccio multicriterio, meno rigido ma talvolta caratterizzato da una minore chiarezza.
A prescindere dal modello di riferimento, sono quattro gli elementi che dovrebbero essere considerati nella definizione delle politiche di accesso ai farmaci.
1. Standardizzazione delle valutazioni comparative
Anche se si tratta di un procedimento complesso, è fondamentale puntare alla standardizzazione dei criteri valutativi. In questo senso, il Regolamento Health Technology Assessment (HTA) e, in particolare, il Joint Clinical Assessment (JCA), che sarà applicato dal 2025 alle terapie oncologiche avanzate, potrebbe rappresentare un passo avanti.
2. Coerenza tra valore e costo nei processi di negoziazione
La negoziazione del prezzo e del rimborso dei farmaci dovrebbe partire dall’obiettivo primario di garantire coerenza tra il valore terapeutico e il costo, integrando tale principio con l’esigenza di sostenibilità rispetto alle risorse disponibili. È quindi auspicabile adottare una visione ampia degli impatti economici, che tenga conto della prospettiva contestualizzata nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
3. Gestione dell’incertezza
L’aumento dell’incertezza – legato, tra l’altro, all’accelerazione dei processi autorizzativi – richiede strumenti adeguati di gestione. In questo contesto, si auspica un rinnovato utilizzo selettivo dei Managed Entry Agreements (MEA), abbandonati negli ultimi anni, a patto che siano impiegati come strumenti integrativi a supporto della raccolta di dati post-marketing.
4. Attrattività del sistema e stabilità regolatoria
Sebbene la regolazione dei prezzi debba ispirarsi a criteri di value-based pricing e sostenibilità, indipendentemente dalle scelte di localizzazione degli investimenti da parte delle imprese, la stabilità del quadro regolatorio – così come del modello di pricing – rappresenta un elemento chiave per l’attrattività del Paese.
A questo si aggiunge la capacità del sistema di gestire efficacemente studi clinici, considerandoli un valore strategico per il SSN.
Questi i correttivi proponibili “a valle” del flusso di ricerca scientifica sul farmaco che porta all’autorizzazione in commercio. Ma a monte, in termini di ricerca interventistica sponsorizzata e di nuovi modelli di ricerca, bisogna chiedersi se l’Italia oggi sia effettivamente una realtà attrattiva.
La sfida della privacy e la competitività del sistema Italia
L’Italia, anche sotto il profilo della privacy, offre un minor richiamo rispetto ad altri Paesi europei: come per esempio la Spagna, che ospita circa il doppio delle ricerche in termini di trial sponsorizzati e arruolamento dei pazienti.
In Spagna non c’è l’obbligo di tornare a chiedere nuovi consensi ai pazienti che
avevano già autorizzato il trattamento dei loro dati personali: lo consente un legittimo interesse collettivo per la ricerca. Oggi gli oncologi spagnoli godono di grande credibilità perché selezionano i pazienti con qualità e velocità, ottenendo più opportunità sperimentali e di terapie innovative a beneficio dei pazienti rispetto a quelle offerte all’Italia.
È cruciale, a livello direzionale di aziende sanitarie e regioni, arrivare a comprendere che è anche attraverso i fondi degli sponsor che si potrebbero ottenere le risorse necessarie per investire non solo in apparecchiature, ma anche in formazione e ingaggio di figure chiave per supportare la ricerca, come data manager e study coordinator.
Per fare questo, però, occorre non solo volontà di investire delle compagnie sanitarie, ma anche una normativa che agevoli questo processo. Un dato emerso di recente rivela come oltre il 50% dei centri ricerca italiani non arruoli alcun paziente nella metà dei trial aperti, e questo non giova alla reputazione di queste strutture presso le aziende farmaceutiche, che selezioneranno altri ospedali nei loro trial futuri. Di conseguenza, i pazienti italiani rischiano di non avere l’opportunità di accesso precoce alle terapie innovative.
I nodi da sciogliere: raccolta dei dati, formazione, politiche coordinate
Oggi emerge, più che mai, la necessità di piattaforme di raccolta che consentano ai dati del SSN di essere letti e utilizzati per aumentare le chance di terapia e prevenzione personalizzata. Tali dati Real World sono raccolti anche su popolazioni di pazienti che, per caratteristiche cliniche di fragilità, non sono candidabili ai trial interventistici.
Inoltre, per fare ricerca in Italia abbiamo ottime competenze cliniche, oltre alle quali serve formazione ad hoc: i corsi di laurea in Medicina e Chirurgia hanno piani di studio datati, che non contemplano la ricerca clinica, e solo a dicembre i decreti Bernini hanno introdotto la possibilità di inserire crediti formativi interdisciplinari, provenienti da facoltà come Ingegneria, Economia e Tecnologie Applicate alle Bioscienze.
Anche all’interno dei Comitati Etici, oggi oggetto di un processo di riforma e razionalizzazione numerica, è necessaria un’evoluzione in termini di competenze e snellimento delle procedure burocratiche, al fine di garantire tempestività ed efficienza nei processi di approvazione.
Questi sforzi rischiano di essere vanificati se non accompagnati da politiche di finanziamento più stabili e coordinate: l’attuale logica discontinua e frammentata ostacola una programmazione efficace e rende complessa la collaborazione tra pubblico e privato, impedendo una reale valorizzazione della ricerca clinica nel suo insieme.
Tra le prospettive di lavoro congiunto più rilevanti, che facciano leva sui Centri clinici d’eccellenza in ambito oncologico ed emato-oncologico, si segnala la necessità di avviare una Digital Health Platform nazionale per la raccolta strutturata dei dati clinici.
Uno strumento di questo tipo potrebbe favorire l’integrazione tra ricerca di base e ricerca clinica, promuovendo l’utilizzo sicuro dei dati nel pieno rispetto della privacy del paziente, potenziando inoltre la capacità di generare evidenze solide anche attraverso l’impiego di Real World Data (RWD) a integrazione dei dati derivanti dai trial clinici.
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